
di Pierfrancesco Rainò
Articolo tratto da Porta terra / Anno 3, n. 2
Per la rubrica “L’intervista” di questo numero, abbiamo pensato di fare qualche domanda a Sara e Pietro, due nostri concittadini che hanno partecipato all’iniziativa “Treno della Memoria”: questo viaggio, sovvenzionato anche dal Comune di Racale, prevede la partecipazione di alcuni ragazzi con la partenza dalla propria città per poi vistare il campo di concentramento di Auschwitz. Le domande che abbiamo posto sono state diverse per tutti e due tranne per l’ultima che è abbiamo posto ad entrambi.
Come ti è sembrato visitare un posto in cui sono state mietute moltissime anime?
Sara: «Visitare un posto del genere è stato davvero surreale. Camminare sopra quella terra mi ha suscitato un senso di colpa, perché stavo calpestando una terra sulla quale erano morte milioni di persone. La cosa che subito mi ha colpito è stato il silenzio che c’era soprattutto nel campo di Auschwitz-Birkenau, un silenzio assordante che ad ogni passo che facevi nella neve, ti faceva riflettere sulle condizioni disumane nelle quali vivevano tutte quelle povere persone. La domanda che risuonava per tutta la guida dentro i campi di Auschwitz e Auschwitz-Birkenau era: “ma com’è possibile che sia accaduto tutto ciò?”. Più visitavamo le baracche e più questa domanda mi risuonava nella testa insieme ad un senso di vuoto profondo. Ad un certo punto mi è sembrato di essere durante la seconda guerra mondiale e che dentro quelle baracche, insieme a milioni di persone, c’ero anche io. Ancora oggi, nonostante siano passati due mesi dal mio ritorno, faccio fatica a trovare le parole per tutto quello che ho visto. Non credi a quello che è successo durante la seconda guerra mondiale
Cosa ti ha suscitato questo viaggio?
Pietro: «È stato un viaggio fisico si, con tutte le fatiche correlate, ma allo stesso tempo un vero è proprio viaggio spirituale. Spesso, nel momento in cui si parlava dell’Olocausto, non prestavo molta attenzione; il Treno della memoria in questo mi ha fatto crescere tanto. In quei luoghi, nei campi, tra i muri di filo spinato, all’interno delle camerate comuni, mi son sentito piccolo: ho sentito quanto l’uomo è stato piccolo nel corso della storia. Il senso di impotenza ti pervade: è stata oggettivamente una cosa troppo grande, propagandistica. Sulla scia di questo, sulle colpe passate di altri e su quelle presenti di molti di noi, sento la necessità di portare avanti questa triste pagina di storia testimoniando, anche, le storie di tutti i sopravvissuti allo sterminio nazifascista e quello che i miei occhi hanno visto nei campi di Auschwitz-Birkenau.»
Infine la domanda comune: viaggi ed eventi simili, secondo voi, sono davvero inutili come si pensa spesso?
Sara: «Io consiglio questo viaggio a tutte le quinte delle scuole superiori, poiché è un’età giusta per capire cioè che è successo e per far sì che non accada più. Ovviamente si deve essere pronti mentalmente ad affrontare un viaggio del genere, perché è forte fisicamente ma soprattutto psicologicamente. Vedere tutta quella crudeltà ti fa capire quanto l’uomo possa essere cattivo. Quindi si, secondo me viaggi simili sono utilissimi per far sì che la storia non si ripeta più, l’importante è che si affronti quest’esperienza con la consapevolezza di quello che si sta andando a vedere. La nostra generazione è di sicuro il futuro ma ancora prima è il presente, quindi far vedere loro la crudeltà passata dell’uomo può cambiare la loro prospettiva sulla visione del mondo.»
Pietro: «Assolutamente no, hanno un valore culturale e storico molto alto. Da studente, ritengo questo tipo di iniziative molto più significative rispetto a tecniche didattiche usate tra i banchi. È attraverso queste iniziative che una persona impara a prendere una decisione che significa, poi, compiere una scelta politica. Attraverso questi progetti si decide da che parte della storia stare. Si decide se rimanere con i paraocchi oppure di toglierli.»