di don Totò Tundo
La chiesa deve stare tra la gente, perché fondamentalmente è segno di una comunità di persone.
Qualcuno la considera un contenitore di opere d’arte, una sorta di museo che custodisce preziose testimonianze culturali e vorrebbe racchiuderla nel centro storico della città, aperta ad accogliere i turisti di passaggio. Altri vorrebbero preservarla dal viavai quotidiano per farne un’oasi di pace, un’isola felice, capace di rinfrancare le risorse spirituali di chi patisce la vertigine del vuoto, della mancanza di senso, o di chi nuota contro corrente in un mare di guai. Ma non manca chi immagina la chiesa al centro dell’incrocio, ingombro illustre tra il traffico di auto che non possono fare a meno di passarle rapidamente davanti, ma che non hanno tempo per niente di più.
A Racale la chiesa si è venuta a trovare di fronte ad una strada, sulla quale si dovrà procedere con prudenza, e a fianco ad una piazza finalmente ben delineata. È una posizione significativa, espressione del nostro modo di sentire e di essere, che merita qualche riflessione.
In chiesa ci incontriamo con Dio e ascoltiamo la sua Parola; condividiamo le esperienze spirituali e celebriamo la nostra fede. In chiesa sentiamo l’invito pressante ad aprire la mano al misero e a volgere la guancia sinistra a chi ci ha percosso sulla destra.
In piazza, poi, abbiamo l’opportunità di “stare” e di “guardare negli occhi” i nostri fratelli, per confrontare idee e prospettive. In piazza arrivano le notizie che animano, nel bene e nel male, le dicerie della gente e influenzano le tante scelte che dobbiamo fare ogni giorno. In piazza acquistiamo consapevolezza della nostra identità cittadina e maturiamo il senso di appartenenza ad una comunità che, per crescere, non può fare a meno dei carismi di ciascuno e dell’impegno di tutti.
La strada bisogna percorrerla per andare incontro all’altro: è presupposto per la relazione. Sulla strada s’intreccia il cammino di chi sceglie di uscire dal clima protetto e confortevole della sua casa per incontrare nuove esperienze di vita. La strada non è tempo perso tra la partenza e l’arrivo, ma è opportunità di riflessione ed arricchimento, a condizione di percorrerla a passo d’uomo per rendersi conto delle realtà che si attraversano e per guardare in faccia coloro che, per caso, s’incrociano o si ritrovano come compagni di viaggio.
Il fatto che questi tre elementi sono composti in un unico colpo d’occhio, c’induce a pensare che non possono essere considerati a sé stanti, separati l’uno dall’altro. Semplicemente perché il nostro rapporto con Dio non può essere alibi per prendere le distanze dalla realtà quotidiana, né possiamo ritenere che le relazioni tra persone si possano impostare su una dimensione estranea alla nostra spiritualità. Anzi, se la nostra fede è autentica, deve trovare continuità e ambito di testimonianza al di fuori della chiesa, in piazza, appunto, o sulla strada, là dove si costruisce l’oggi e si progetta il domani.
Il cristiano non vive una “speranza interiore”, capace soltanto, cioè, di dipingergli sul volto uno stupido, beato sorriso. Si impegna, invece, a costruire una società sempre più fondata sui valori in cui crede, frequentando senza remore i luoghi del dialogo e del confronto democratico.
Su questo scenario e con questa prospettiva anche quest’anno celebreremo il nostro protettore. Auguro a tutti di vivere una festa che abbia profonde radici nella fede che celebriamo in chiesa e che produca abbondanti frutti di carità e di gioia in piazza, sulle strade, nelle case di ciascuno.
Tutto accadrà in concomitanza con la consultazione elettorale … Beh! penso proprio che questa sia la ciliegina sulla torta!
Sac. Totò Tundo